Salve a tutti! Qui è Roberto, detto anche RobiWan, che vi scrive.
Questo è il primo articolo che produco per Nerd House e devo dire che parto da un qualcosa non semplicissimo, ma è la prima idea che mi è venuta in mente quando ho pensato “sforzati di scrivere qualcosa a cui tieni particolarmente”.

Oggi, quindi, parlerò di un episodio accadutomi ormai 5 anni fa e di come un mese fa io sia finito a piangere guardando un video su Obito. Beh grandi premesse devo dire, no? Partiamo!

Inizierei con un esercizio di immedesimazione.

Stai guidando in una strada di campagna, in una giornata d’estate, con la tua ragazza sul sedile del passeggero e dietro tua nipote di 8 anni.
Ad un certo punto ti svegli, con la vista offuscata. Vetri rotti, sangue, tua mamma che in strada piange davanti a te chiamandoti sperando tu risponda. Senti piangere tua nipote per il braccio che si è rotta. A sinistra tuo fratello che cerca insieme ad un amico di aprire la portiera della macchina anche a costo di rovinarsi le mani per i vetri.
Ti chiedi: “ma cosa diamine è successo?” e poi hai un flash, un ricordo improvviso. Quello di una macchina che sbanda e ti viene addosso.

Realizzi che ciò che stai vivendo non è un sogno, che non ti sveglierai come accaduto altre volte, provando una sensazione di sollievo. No.
Ti giri verso la persona che ami, che vedi a faccia in su con bocca aperta, priva di sensi. Provi ad andare verso di lei urlando il suo nome ma ti accorgi che c’è qualcosa che te lo impedisce. Senti un formicolio invadente alla gamba sinistra e al minimo movimento del busto provi un dolore fortissimo. Ti accorgi che la gamba si è ingrossata il doppio rispetto al normale e che non riesci a muoverla. Urli ancora una volta il nome della persona che ami, ma non risponde. Sembra non respiri. Pensi sia morta. Urli più forte, in preda alla disperazione. Risponde! Muove la mano, sembra viva. Per quanto tu possa allungare il braccio, riesci a darle la tua mano.

In quel momento arrivano i pompieri e l’ambulanza con la polizia.

I vigili del fuoco realizzano che sei incastrato e cercano di tirarti fuori tagliando la portiera.
Provano a tirarti fuori, urli dal dolore come mai fatto fino a quel momento. Non riescono a liberarti così, optano per farti sgusciare dal sedile del passeggero, tagliando anche ciò che rimane nella parte posteriore della macchina dal tuo lato. Ti tirano fuori mentre continui ad urlare.

Ti mettono in barella e ti portano in ospedale.
Urli dal dolore e piangi.

Dopo le cure iniziali del caso, risonanze all’intero corpo e le urla per essere stato messo sul letto d’ospedale con la gamba in trazione, il dottore arriva a dirti che cosa ti è successo.
Hai subito un incidente potenzialmente mortale, un frontale in auto che ha colpito prevalentemente il lato del guidatore, il tuo.

Per fortuna non è accaduto il peggio.

Scopri il perché della gamba in trazione e di tutto il resto, ovvero ti sei rotto il bacino in maniera composta e ti sei sbriciolato il femore della gamba sinistra. Meno male che la tenevi a riposo mentre guidavi e non stesa pronta per premere il pedale della frizione, altrimenti l’avresti persa.

Ti è andata decisamente bene.

Il dottore ti dice che per la gamba ci sarà una operazione in cui verrà inserito un mezzo di sintesi, per il bacino essendo fratturato in maniera composta ed essendo tu giovane, si può puntare ad una guarigione interamente affidata al tuo corpo. Questo comporta però che tu debba rimanere steso e supino per diversi mesi, finché l’osso non si sia calcificato interamente.
Inizia così la riabilitazione. Due mesi e mezzo steso come detto prima, con la possibilità di aumentare progressivamente l’angolo dello schienale, senza però la possibilità di movimenti laterali, se non quelli eseguiti dagli operatori sanitari per pulirti.

Dopo arriva la fase sedia a rotelle.
Poi girello.
Poi stampelle.
Poi stampella singola.
Poi ricominci finalmente a camminare, male, ma cammini con le tue gambe senza ausili. Il tutto dura 10 mesi. 3 mesi e mezzo di questi praticamente vissuti in ospedale.

In questo periodo, ti senti solo. Estremamente solo. Pochi ti stanno veramente vicino. O meglio, tu percepisci questo, cioè poche persone a sostenerti, anche alcune che credevi avrebbero fatto tanto per te in un momento di difficoltà. Passi il compleanno da solo in ospedale, non viene nessuno a “festeggiare”, solo messaggi. Passa tua mamma a trovarti e basta.
Ti senti abbandonato, anche per alcune scelte discutibili a livello sanitario nella gestione della tua persona.

Ti senti inerme.

Cose che prima davi per scontato, come banalmente l’andare di corpo, diventano complicate, non riesci da solo. Per molto tempo non sei autonomo.

Tu, che hai sempre reagito alle avversità, devi aspettare, stare fermo. Non puoi fare nulla, solo sopportare con dolore e nervoso, giorno dopo giorno, puntando al momento in cui finalmente uscirai da tutto ciò.
Finita la fase più brutta della tua vita, rimani te stesso. Ma ti accorgi di provare più rabbia, di essere particolarmente suscettibile riguardo ad azioni nel quale tu percepisci un egoismo di fondo delle persone.
Ce l’hai con il mondo e con tutto ciò che comporta l’egoismo, il menefreghismo, la poca empatia.
Sei arrabbiato quando guidi, percepisci manovre relativamente normali come estremamente pericolose.
La tua reazione è eccessiva, vorresti menare a sangue certa gente incosciente e irrispettosa del prossimo.

Ti accorgi di questo cambiamento, ma pensi solo faccia parte del tuo percorso di crescita dopo un’esperienza forte vissuta. “Ora sei così, sempre te stesso, con la stessa bontà, ma più suscettibile, va bene. Ogni essere umano si forma in base a ciò che vive, adesso hai la sofferenza che è ancora fresca, si attenuerà con il tempo” pensi.

Nel corso degli anni questo non succede, rimane una costante della tua persona. Arrivi a capire che sei più rabbioso, che anche scene dove dovresti essere normalmente e magari giustamente infastidito, si trasformano in scene dove sfoghi la tua rabbia e basta, sempre verbalmente per fortuna. Ma le parole fanno ugualmente male. Sei diventato più diretto e cinico per alcune cose, perché “basta mi sono rotto di tutto questo, di certe situazioni e certi comportamenti. Il mondo è egoista, ipocrita e le persone non cambieranno mai, c’è troppa cattiveria. Mi sono stancato. BASTA”.

Incominci a realizzare che tutto ciò non va bene, non è normale.
Vuoi trovare una soluzione, vuoi capire che cosa sia tutto ciò.

Definizione generale del PTSD, ovvero lo stress post-traumatico:

“La condizione di stress acuta che si manifesta in seguito all’esposizione a un evento traumatico”.

Lo stress post traumatico è ovviamente relativo ad ognuno di noi, sia nel modo in cui si manifesta, sia nelle sue conseguenze.
Qui se volete approfondire l’argomento.

Obito - Naruto - Kakashi - Stress post-traumatico - PTSD

Bene, direte, bella o brutta esperienza di immedesimazione che sia, dove vuoi arrivare?

Un mese fa mi è capitato di riguardare su YouTube alcune scene di combattimento riprodotte nell’anime di Naruto, uno dei miei manga preferiti. Mi sono soffermato su una in particolare, che non avevo mai visto, ahimè, ovvero questa:

La prima reazione è stata piangere.

Forte.

Ho provato empatia per Obito.
Obito era come me in quel momento.
Chi ha visto o letto Naruto sa, pensate a quello che ha vissuto.

SEGUONO SPOILER!

Schiacciato da un masso per un “incidente”, dato per morto, solo.
Vede la persona che ama morire per mano del suo migliore amico.
Obito è la rappresentazione perfetta del PTSD.

Da ragazzino sorridente e pieno di speranza quale era è diventato un uomo colmo di rabbia, cinico, che ce l’ha con il mondo e con l’egoismo e l’estrema ipocrisia che alberga in esso. Tutte le sue azioni successive si muovono con questo spirito. Portare a compimento lo Tsukuyomi Infinito, per poter porre fine a tutte le sofferenze dettate dall’animo umano corrotto.
Si può dire che alla base di ciò ci sia comunque un sentimento buono, che lui sia rimasto sé stesso, lo stesso che voleva proteggere il prossimo e diventare Hokage. Tutto ciò però è stato distorto, reso più rabbioso, dovuto ad una stanchezza interiore. “Basta mi sono rotto di tutto questo, di certe situazioni e certi comportamenti. Il mondo è egoista, ipocrita e le persone non cambieranno mai, c’è troppa cattiveria. Mi sono stancato. BASTA”.

Io probabilmente stavo/sto vivendo il PTSD.

Vedere quel video ha stimolato una empatia profonda per un personaggio che ha perso tutto. Principalmente sé stesso. Vedere il parallelismo tra Obito e Kakashi da piccoli, spensierati e pensare a tutto ciò che è successo nel mentre, pensare alla trasformazione di quel ragazzino che con il tempo si è perduto e ha perso la speranza, vederli combattere prima e ora, con una colonna sonora che incide e che sicuramente fa il suo lavoro, ovvero creare un clima di rammarico e tristezza di un “cosa sarebbe accaduto se…”, è stato toccante. Scena chiave di questo è l’Obito adulto che sposta e mette da parte il sé stesso ragazzo, in procinto di ricevere la mano da Kakashi, per continuare il combattimento e attaccare quest’ultimo. Una simbologia potente.

Mi ci sono rivisto in Obito.
Stanco, rabbioso.
Provo le stesse cose.

C’è una differenza, però, tra noi, che va oltre il contesto fantastico dovuto ad un’opera di immaginazione.
Io non ho perso la speranza. In quel periodo brutto, ciò che combatteva la mia solitudine è stata la persona che amo. Lei mi ha donato affetto, dolcezza e si è presa cura di me. C’è sempre stata in ogni momento. Ciò non ha frenato il cambiamento dentro di me, ma ha impedito che io cadessi definitivamente nel baratro. Che diventassi, sotto sotto, Obito.
L’Uchiha ha incontrato un suo contraltare, Naruto.

La sua positività l’ha cambiato.
Ci ha messo un po’ ma c’è riuscito.
Questo perché? Perché Naruto ha saputo risvegliare in lui la speranza e tutto ciò che essa comporta. La speranza che il mondo non sia tutto così nero come lui invece pensava. Che al mondo la bontà esiste e che può essere migliore.
Le reazioni derivate dal suo disturbo, ovvero di ipersensibilità nei confronti di una sofferenza, lasciano il posto ad un cuore disposto a riaprirsi e tornare ad amare, nonostante possa comportare del dolore. Dolore che come meccanismo di difesa ormai aveva smesso di provare.

La fine di questo personaggio travagliato, giunge a suo compimento con una trasformazione positiva.

Obito - Naruto - Kakashi - Stress post-traumatico - PTSD

Io sarei potuto diventare Obito. La persona che amo, in quel caso, è come se fosse stata Naruto.

La verità assoluta e le competenze tecniche in materia non le ho, ma so solo che in entrambi i casi il non perdere la speranza o il recuperarla, in tutte le sfaccettature che può avere, ha permesso di salvarci.
Obito è uno dei personaggi di un manga Shonen che più si avvicina alla realtà. Un personaggio nel quale veramente, chi più chi meno, ci si può rivedere. Non solo empaticamente, proprio guardando alla propria vita, a sé stessi e a ciò che si è vissuto. Letteralmente.

Obito quindi puoi essere anche tu.
Cosa ti da speranza?
Non per forza deve essere una persona, in quello che è stato raccontato in questo articolo lo sono state, ma il concetto generale è che nel dolore bisogna aggrapparsi a qualcosa, che permetta di dare un senso al tutto.

Purtroppo non sempre riusciamo ad essere come Kakashi, che è riuscito ad andare oltre la sofferenza e resisterle per continuare a fare la cosa giusta.

Io vedrei il loro dualismo in questo modo.

Uno è la rappresentazione di cosa significa cedere ad un forte trauma e alle sue conseguenze, che può essere un disturbo o no, più o meno lieve. L’altro è la rappresentazione di cosa significa sopportare tutto e cercare di vincere il dolore per non perdersi interiormente. C’è un motivo se in Obito è più semplice immedesimarsi. Perché parla di noi e delle nostre fragilità. Kakashi è quello a cui vorremmo aspirare.

Obito - Naruto - Kakashi - Stress post-traumatico - PTSD

Purtroppo nel mondo reale non sempre basta un Naruto che con perseveranza e carisma ti ricordi chi eri prima della sofferenza.

In molti casi è utile andare dallo psicologo, per entrare dentro sé stessi e combattere certi demoni.

Basta solo riconoscere un proprio cambiamento, perché purtroppo a questo disturbo non sempre ci si fa caso.

Tu, ti ci rivedi nell’esperienza di Obito?

Bene, questo articolo è giunto al termine!

È stato faticoso mettere nero su bianco una vicenda personale, ma allo stesso modo interessante e utile. Prometto che non sarò sempre così prolisso e confidenziale con i prossimi articoli.

Fino ad allora, Be Nerdy!

Many Nerds, One House!